Lottatori Kushti di Suryene Ramaget

I “Malla”, i wrestler, combattono in ring di terra argillosa rossa, chiamati “Akhada”, o sulla nuda terra. La dieta dei lottatori è molto rigida così come lo stile di vita quasi ascetico. Non è concesso bere, fumare e fare sesso. Lo scopo è concentrarsi su uno stile di vita puro per rafforzare la propria forza,il kushti tradizionale sta vivendo un periodo di profonda crisi perdendo il contatto con la terra rossa sostituita da materassini e perdendo la filosofia che lo caratterizza per via di un processo di modernizzazione sociale che tende a svalorizzare l’aspetto spirituale.

Il 17 aprile 2015 atterro a Mumbai, ad aprile un caldo incredibile, era uno di quei viaggi in cui non avevo un preciso progetto in mente ma piccole sfumate ispirazioni, volevo farmi un viaggio di piacere con l’impegno di cercare nuove idee da sviluppare e controllare la fattibilità di quelle piccole ispirazioni nate in terra sicula. I progetti che mi affascinavano e che erano nati nel divano di casa in Sicilia erano due: uno era il circo, la possibilità di seguire per un paio di mesi la vita all’interno di un circo indiano, la seconda si chiamava Hina. Hina è un hijra, l’avevo conosciuta in Nepal nel 2014 e avevo chiesto se mi avrebbe potuto aiutare ad entrare nel suo mondo, quel giorno vi fu solo uno scambio di contatti senza risposte.

Il 20 aprile 2015 la contatto e mi invita nella comunità che la ospita a 12 ore di viaggio in bus da Mumbai, Kolhapur era una cittadina molto rumorosa e insignificante,una di quelle cittadine in cui si fermano camionisti per una notte di sosta,una città di passaggio senza attrattive. Hina mi da ospitalità in uno dei quartieri più brutti di quella regione, un insieme di baraccopoli dove io non vengo accettato. Mostro e chiedo aiuto a ciò che mi ha sempre tolto dai guai in questi luoghi,un piccolo naso rosso. Dopo un paio di giorni vengo accettato in quel luogo dove il mio malessere ogni giorno mi supplicava di tornarmene a casa. Hina viveva con un enorme uomo, un uomo molto silenzioso e dall’aspetto non molto consigliato,lui era nato e cresciuto in una scuola a Kolhapur che addestrava i ragazzi alla lotta, la scuola si prendeva carico dei bambini bisognosi, bambini che magari vagavano sotto i ponti nella difficile India,gli dava un tetto e un luogo dove dormire con l’obligo di studiare ed imparare un antica arte di lotta chiamata Kushti, il tutto senza dare istruzione scolastica.

Questi ragazzi crescevano allenandosi e lottando tra di loro o durante eventi organizzati in piccoli villaggi o direttamente dallo Stato Indiano essendo uno sport di interesse nazionale. La carriera di un ragazzo si intravedeva già verso i 14 anni, a 20 anni bisognava avere già dei premi e dopo i 20 la sua strada sarebbe potuta migliorare divenendo campione regionale o nazionale. Chi invece dopo i 25 si ritrova a non aver mai conseguito nessuna vittoria veniva escluso dalla scuola. La storia del compagno di Hina era proprio quest’ultima, nessun riconoscimento negli anni, l’allontanamento dalla scuola, un ragazzo che si trovava per strada a 25 anni senza aver mai studiato e con la capacita solo di lottare era un ragazzo che poteva o essere assorbito nella microcriminalità o come lui finire nella strada delle lotte clandestine notturne(molti se non quasi tutti i ragazzi della scuola non avendo mai avuto un istruzione scolastica non sapevano ne scrivere e ne leggere).

Ricordo che una sera mi invitò ad assistere a uno di questi eventi segreti,o forse tutto il paese sapeva ma nessuno diceva niente. Mi ritrovai in un luogo affollatissimo dove molti uomini lottavano e molti altri uomini gridavano contro parole poco comprensibili. Qui nacque il progetto Malla, ne ero assolutamente innamorato. Lasciai quel luogo che mi aveva ospitato e presi una stanza in un piccolo ostello vicino al luogo delle lotte, giravo con quest’uomo che era molto rispettato e per questo avevo la possibilità con molta discrezione di uscire ogni tanto la macchina fotografica. Il tutto durò pochi giorni,al terzo giorno mi arrestano con il sospetto di essere in quel paese per alimentare e creare dei contatti per lo spaccio di droga, il proprietario dell’alloggio non si spiegava perchè io passassi tutto il giorno a dormire uscendo solamente nelle ore notturne,e l’unica spiegazione che si diede si ricollegava alla droga e per questo mi denunciò. Passai 3 giorni in cella e fui rimpatriato senza nessuna prova,ma vabbè l’India è particolare, tornai nel 2016 dirigendomi nuovamente a Kolhapur, cercavo le origini di quell’uomo e di questa lotta molto affascinante, al nono giorno trovai la scuola, più di 200 ragazzi impegnati giornalmente nella lotta, sembrava un grande carcere maleodorante e abbandonato…da qui nacque un nuovo percorso,una nuova storia.

I ragazzi erano difficili, diffidenti,e dai modi non molto gentili, mi era permesso di fotografare solo gli allenamenti,quando cercavo di allungare un po’ il piede ricercando un po’ più di intimità venivo bloccato bruscamente. Mi era vietato fotografare l’interno dove si condivideva il cibo e dove si dormiva,non avevo il permesso di riprendere le docce o gli spazzi in cui i ragazzi condividevano i momenti di pausa. Nacque cosi la prima parte del progetto, le foto che ritraevano la lotta e gli allenamenti,mi ero talmente innamorato di quelle immagini che non potevo abbandonare il progetto cosi. A metà 2017 tornai a Kolhapur, lasciai la macchina fotografica in ostello e mi dedicai al dialogo, all’interazione con quei ragazzi, li allontanai dall’idea che io fossi un fotoreporter e li avvicinai all’idea che io sarei potuto diventare un amico,dopo circa 5 giorni di full immersion mi invitarono a dormire nella scuola e mi diedero la possibilità di cenare con loro. Da qui si creo un grande legame. Oggi nella scuola sono in parte a casa,in seguito riuscì a muovermi liberamente in ogni angolo della scuola riprendendoli in ogni situazione…

Suryene Ramaget