I binari del tempo

Mostra fotografica personale di

Alfio Bottino

 

Il tempo si lacera. Dove ritrovare i prati della mia infanzia?
I soli ellittici rappresi nello spazio nero?
Dove ritrovare il cammino che oscilla nel vuoto?
Le stagioni hanno perduto il loro significato.
Domani, ieri, che vogliono dire queste parole? Non c’è che il presente.
Una volta nevica. Un’altra volta piove.
Poi c’è un po’ di sole, un po’ di vento.
Tutto ciò è adesso. Non è stato, non sarà.
E’. Sempre. Tutto insieme. Perché le cose vivono in me e non nel tempo.
E in me tutto è presente.
(Agota Kristof – Ieri)

 

Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare una stazione ferroviaria viva e intensa in cui ogni giorno gruppi di uomini caricano e scaricano merci, lunghissimi treni pieni di arance che dalla Sicilia raggiungono tutta l’Europa e ancora lavoratori pendolari, capistazione, biglietterie, orologi che scandiscono arrivi e partenze, appuntamenti e incontri.

Chiudete gli occhi e provate ad immaginare il profumo rasserenante dei fiori di zagara e di mandorle, del finocchietto selvatico e dei fiori di cappero, gli alberi di fichi, di noci e melograno, le distese di fichi d’india che si stagliano sul terreno come dei preziosi coralli. E ancora il ferro bollente dei binari, il legno delle traversine bruciato dal sole e il fresco odore dell’erba, falciata dal vento sollevato dai treni in corsa.

Questa è la ferrovia che va da Motta Sant’Anastasia a Regalbuto, un sogno di ricchezza e di possibilità iniziato con la costruzione dei primi 18 chilometri di tratta nel 1934, completato nel 1958 e svanito intorno al 1987. Quel che resta di queste vite, dei sogni, degli investimenti e delle ricchezze di questi anni, apparentemente così lontani, è un lungo binario che resiste e che continua a restare ancorato a terra anche se nessun treno ci “volerà” più sopra.

Per comprendere il presente e provare ad immaginare il futuro è indispensabile conoscere il passato, può sembrare un concetto banale ma, un po’ in tutte le cose, conoscere la storia aiuta a mettere a fuoco le dinamiche e a dare un nuovo significato a quello che vediamo: uno su tutti al concetto di “per sempre”. Una ruggente tratta ferroviaria, un traffico merci ambizioso, un sali e scendi di passeggeri e di possibilità, è svanito con la costruzione delle autostrade e i progressi del trasporto su gomma; quello che si dava per scontato dovesse essere per sempre, è durato appena una manciata di anni per poi essere progressivamente abbandonato, tratta dopo tratta, chilometro dopo chilometro.

Cosa ne è stato di tutti gli uomini che hanno creduto in questo progetto? Cosa è successo a chi ha puntato tutto sul trasporto e si è indebitato per far passare la ferrovia vicino alla propria masseria? La storia fa il suo corso, si incassano i fallimenti, i sogni cambiano e si sopravvive nella speranza che il tempo conceda l’ennesima possibilità.

La ferrovia è adesso in disuso, così come i sogni dei tempi d’oro, i binari continuano a tagliare in due il territorio e si mescolano con la natura selvaggia che, pian piano, prende il sopravvento, quasi a sottolineare che lei sopravvivrà a tutto e a tutti. I fiori dei capperi continueranno a sbocciare, il finocchietto a crescere e le mandorle maturare, nuovi sogni e profumi attraverseranno questi campi nella speranza che qualcuno, prima o poi, racconti le loro storie e i loro profumi.

Alfio Bottino ha esplorato a piedi tutta la tratta percorribile di questa ferrovia, è andato alla ricerca di queste storie perdute, ha fotografato i sogni che sono stati consegnati alle stazioni e le speranze che un giorno qualcosa di buono possa venire fuori per far correre nuove vite, energie e possibilità accanto a quelle passate.

I “per sempre” tendono ad essere sempre più circoscritti ma, per fortuna, sognare è qualcosa che ci portiamo dentro, che non svanisce mai e che permette ad una sperduta ferrovia abbandonata di tornare a vivere attraverso gli occhi di un instancabile fotografo.

Serena Vasta