VII Biennale d’Arte Fotografica Le Gru

VII Biennale d’Arte Fotografica Le Gru

Catalogo VII Biennale 2010

“ La fotografia di Nudo”

Espongono

COZZI Giovanni di Roma

IRRERA Mimmo di Messina

MAZZA Malena di Milano

RIGON Gabriele di Vitorchiano (VT)

RINALDI Fabio di Trieste

ROCCHI Roberto di Roma

VIDOR Mario di Pieve di Soligo (TV)

ZUCCALA’ Roberto di Roma

Dal catalogo la presentazione a cura di Giuseppe Fichera, Presidente G.F. Le Gru, e di 3nzo Gabriele Leanza, Consigliere Nazionale FIAF.

La Fotografia di Nudo

Il Consiglio Direttivo del Le Gru ha deciso di dedicare questa edizione della Biennale alla fotografia di nudo per rendere merito ad uno dei temi che ha affascinato nel tempo tantissimi fotografi.
La fotografia di nudo insieme al ritratto e al paesaggio è uno dei soggetti preferiti dai fotografi che, fin dall’antichità, hanno creato simboli, narrato vicende, manifestato idee e sentimenti, così che il nudo ha assunto un reale emblematico nell’arte.
Parlare di nudo significa prevalentemente parlare di donne e sappiamo quanto l’argomento appare difficile e quante parole sono state spese in questo delicatissimo tema.
La donna è un soggetto dalla mille sfaccettature, così interessante da poter garantire fotografie di alto livello artistico estetico dove la bravura e la sensibilità del fotografo possono spaziare dalla bellezza alla sensualità rendendo omaggio alla grazia femminile. Ma nello stesso
tempo possiamo affermare che è un soggetto difficile, fotograficamente parlando, poiché si corre il rischio di banalizzarlo o, ancora peggio, “volgarizzarlo” e proprio per questo il nudo in fotografia è più difficile che nelle altre arti figurative.
La fotografia di nudo dovrebbe rappresentare una passione, una sorta di culto, dove il risultato finale deve essere una “creazione”, e proprio per questo motivo non può essere affrontata con superficialità.
Possiamo affermare che tutti gli autori presenti in questa rassegna sono fra quelli che hanno dedicato gran parte del loro lavoro alla suddetta tematica e di conseguenza conoscono tutti i canoni per consegnarci delle immagini di gran fascino.
La scelta degli autori, professionisti o meno, presenti in questa rassegna è stata variegata per dare una visione quanto più ampia possibile del genere fotografico. Le immagini che compongono la mostra sono intense, a volte “erotiche”, a volte delicate e a volte “formali”, ma senz’altro riescono tutte ad esprimere sensazioni e intense emozioni.
Per tutti i motivi sopra esposti un sentito ringraziamento va agli artisti che hanno aderito alla manifestazione; ci rende davvero orgogliosi averli ospitati a Valverde, perché attraverso le loro opere hanno dato lustro alla manifestazione ed hanno reso onore all’arte fotografica.

Il Presidente
Giuseppe Fichera, Efiap

Pre-messa a nudo fotografica

Qualsiasi fotografo è un voyeur: che faccia fotografie erotiche o altro è comunque un voyeur.
Si passa la vita a guardare attraverso il buco della serratura.
Helmut Newton

Esiste veramente la possibilità di parlare di nudo fotografico, soprattutto in relazione al nudo pittorico? Per “esistenza” intendiamo non solo la possibilità di vederlo rappresentato in immagini, ma anche e soprattutto quella di poterne discutere in chiave teorica per le sue particolari, se non uniche, caratteristiche. Alla domanda si potrebberispondere facilmente sostenendo la tesi, peraltro perorata da illustri studiosi, che la fotografia è assoggettabile, come la pittura del resto, al “macro codice storico” rappresentato dai generi. Quindi il confronto con la pittura non solo non è evitabile, ma è anzi ampiamente auspicabile, perché da esso, a ben guardare, sono scaturiti importanti cambiamenti nel mondo dell’arte.
Se esiste un pittura di paesaggio, una di natura morta, una di ritratto e una di nudo, inevitabilmente, soprattutto per il forte legame iniziale che ha unito le due forme di rappresentazione, deve esistere una fotografia di paesaggio, una di natura morta, una di ritratto e infine anche una di nudo. Tale genere in fotografia, nonostante che per tutto il XIX secolo sia stato regolamentato dai “canoni estetici imperanti nel mondo della pittura” presto, grazie al mutamento rapido del concetto di erotismo e alla emancipazione del linguaggio fotografico, si è affrancato conquistando un proprio campo di azione.
Ma dopo tale autonomizzazione quali sono le differenze sostanziali, se esistono, tra l’omonimo genere delle due forme visive? Una è certamente rappresentata dal loro statuto semiotico: iconico quello della pittura (rappresentazione per somiglianza) e indicale quello della fotografia (impronta fotonica su un supporto, negativo o sensore che sia). Tale differenza ha conseguenze devastanti sulla percezione delle opere, perché muta profondamente la considerazione che abbiamo del prodotto finale. Il mio ritratto pittorico, per quanto vicino a una pur vaga somiglianza, sarà sempre meno connesso con il mio volto di quanto lo possa essere il mio ritratto fotografico. Nel primo caso mancherà sempre la forte “relazione in presenza” che è il presupposto fondamentale della fotografia. Tale “relazione” è ancora più diretta quando ci troviamo di fronte a un’immagine di nudo. E’ infatti inevitabile pensare che quel corpo nudo, maschile o femminile che sia, sia stato effettivamente tale dinanzi all’obiettivo del fotografo. Proprio per questo la rappresentazione del nudo fotografico ha suscitato, soprattutto alle origini della storia della fotografia, tanto clamore, nonostante le immagini di corpi nudi, dagli statuari guerrieri greci a ritroso fino alle rappresentazioni sessualmente iperconnotate delle Veneri preistoriche, abbiano sempre accompagnato il nostro orizzonte artistico. Ma ognuna di queste forme poteva essere frutto di un’idealizzazione operata dal suo autore; la fotografia no! Se accettiamo la tesi di Argan, secondo il quale la fotografia si pone non come “opera” ma come registrazione, dobbiamo concludere che “se una fotografia di nudo risulta più provocante di un nudo dipinto, questo accade perché, proponendosi come oggetto concettuale anziché formale, la fotografia rimanda al momento vero della ripresa, momento che mantiene intatto il fascino della verità, dell’esistito e dunque del potenzialmente esistibile”.
Stabilita la vera differenza che c’è tra le due forme di rappresentazione del nudo, non possiamo non chiederci quale sia il “valore” di questo “genere” in fotografia. Jean Claude Lemagny, partendo dal presupposto che “bellezza e desiderio si mescolano in una sensibilità che appartiene a entrambi” ci propone due opzioni: quella sessuale e quella estetica. L’esteticità del nudo si basa forse sul tentativo di idealizzazione e di desessualizzazione del corpo (operazione più consona alla pittura); del resto come scriveva Elizabeth Anne McCauley: <<Una delle qualità principali dell’arte, forse la più importante, è la castità […] nell’arte non dovrebbe esserci più sesso che nella matematica>>.
Anche Eugene Disderi, uno dei padri del ritratto fotografico, lamentava “la condizione inferiore della fotografia di nudo, individuandone il principale problema nella scelta di un modello adeguato, che riunisca in sé i tratti essenziali della bellezza figurativa e l’espressione morale, serena e pudica”. Tale ricerca di serenità e moralità nel nudo fotografico è però fortemente messa in discussione da tanti, tra i quali Lord Clark sostenne la necessità di “combattere l’ovvietà e affermare
che nessun nudo, per quanto astratto, dovrebbe mancare di suscitare nello spettatore una qualche sensazione erotizzante, anche solo un brivido accennato. Se ciò non si verifica, si tratta allora o di cattiva arte o di falsa morale”. Tale presa di posizione sottolinea fortemente il valore sessuale del nudo fotografico o meglio dell’ostentazione della sessualità presente in esso. La rappresentazione fotografica inaugura quindi, e questa edizione della Biennale Le Gru ne è un esempio, un rapporto inedito con il corpo, la carne e il sesso, ma non si presta a una lettura unidirezionale all’indirizzo della stimolazione erotica (differentemente dalla pornografia la cui visione, per dirla con Barthes,
è “unaria”), ma anzi diventa gioco visivo che innesca l’immaginario e il desiderio, “nell’auspicio, più o meno esplicito, che l’immagine divenga nuovamente carne, eros, e conviva con noi piena di grazia e di verità”.

3nzo Gabriele Leanza