LE CITTÀ VISIBILI

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Alessio Drago di Viagrande (CT)

Recensione di di Enzo Gabriele Leanza

                                                                                                                                                           D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie,
ma la risposta che dà a una tua domanda.                                                                                                                                                                                                                (Italo Calvino, Le città invisibili)

 
 
Nel 1972 Italo Calvino dava alle stampe uno dei suoi scritti più celebri: Le città invisibili. Protagonista di tale opera è Marco Polo che, ospite alla corte del Kublai Khan, fornisce attraverso i suoi dispacci al Sovrano, le descrizioni delle città che vengono toccate dai suoi viaggi all’interno di quello sterminato Impero. In queste narrazioni parla degli uomini che hanno costruito queste città, della loro forma e delle relazioni tra la gente che le popola.
Marco regala sempre descrizioni dei più minuziosi dettagli puntando lo sguardo dove tutti gli altri non guardano, verso aspetti che ad altri paiono appunto invisibili. Ma queste città esistono solo nella mente del viaggiatore veneziano, che, grazie al suo racconto, le crea nell’atto stesso della narrazione. Città d’invenzione sono anche quelle che ci propone Alessio Drago, ma le sue, a differenza di quelle di Calvino, sono allo stesso tempo città reali che, rielaborate dalla sintassi fotografica, diventano assolutamente e immancabilmente visibili. L’estrema visibilità delle città di Drago è data dalla sovrapposizione d’immagini, da una stratificazione temporale che dinamizza lo stesso punto di vista fino a far vibrare di vita ed emozione l’opera finale.
“Viviamo nelle città, le città vivono dentro di noi, il tempo scorre” scriveva Wim Wenders[1], e le città che vediamo in queste immagini sono quelle che effettivamente viviamo, sono quelle di un mondo occidentale policentrico e multietnico, trasformate in puro spazio commerciale ed espositivo, cariche dei segni della comunicazione e delle ferite visive che l’approccio fotografico tenta di sanare attraverso la ricomposizione tra luogo e persone che lo animano. Le figure che Drago ci mostra, infatti, sembrano delle vere e proprie anime che appaiono solo per il piacere del nostro sguardo, ma in realtà sono i fantasmi dei veri corpi che attraversano tutti i giorni quelle strade.
“Le città visibili” sono quindi animate dal perpetuo movimento quotidiano di uomini, di donne, di auto e di mezzi di trasporto pubblici, dalla cui visione si ricava anche il suono e il rumore di questi organismi pulsanti. Determinante per la costruzione visiva delle immagini sono i rapporti che s’instaurano tra l’uomo, le sue opere e lo spazio che contiene entrambi. E se come scrive Gabriele Basilico “la fotografia […] è l’unico mezzo possibile per raccontare ad altri quello che si prova, si vede e si comprende”[2], Drago con le sue immagini, nel tentativo “di ricostruire un senso possibile tra l’esperienza della visione e lo scenario che [gli] sta davanti”[3], non ha la pretesa di proporci delle soluzioni ma ci presenta degli enigmi visivi che siamo chiamati a sciogliere con il nostro sguardo. I luoghi fotografati ci vengono incontro fino ad avvolgerci, ma anche le persone ci vengono incontro, si dilatano fisicamente nello spazio espanso dalla moltiplicazione temporale. La loro presenza non è casuale ma serve “a ridare all’architettura il valore di sfondo, a dare al vuoto il senso drammatico di un’assenza”[4].
La città è indagata da Drago in ogni aspetto possibile della sua liturgia esteriore: vie, piazze, marciapiedi, scale, monumenti, pubblicità sono gli elementi di un lessico visivo che riattualizza il concetto di street photography, coniugando gli attimi in between di Robert Frank in una multivisione simultanea che innesca la fantasia. Chi sono quelle donne e quegli uomini che scorrono nelle immagini? Sono gli stessi uomini e donne di cui Marco Polo racconta, sono gli uomini e le donne di Diomira (“città dalle sessanta cupole d’argento”), di Isidora (in cui i vecchi “guardano passare la gioventù”), di Anastasia (“città bagnata da canali concentrici e sorvolata da aquiloni), di Tamara (in cui “ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri”), di Zora (che “ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto”) di Tecla (città in perenne costruzione) e di tanti altri luoghi della memoria; di una memoria ridondante che “ripete i segni perché la città cominci a esistere” come a Zirma, perché tutto quello che “Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si possono dimenticare né confondere”, così come tutto quello che Alessio “racconta” ha il potere della traccia, che una volta “impressa” non è facile cancellare. In entrambi i casi il “viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”, perché “ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono”. E di città particolari l’autore ha riempito i nostri occhi, svelandone di nascoste come Argia, in cui “di notte, accostando l’orecchio al suolo, alle volte si sente una porta che sbatte”. Del resto con la sua proposta visiva Drago di porte ne ha aperte tante, da esse i protagonisti entrano ed escono a piacimento, perche si sa che le città sono un incrocio infinito di possibilità: prendere una strada, come nella vita, può cambiare il tuo destino per sempre e per nostra fortuna, negli ultimi anni, Alessio Drago ha deciso di prendere la “strada” della fotografia, percorrendo la quale non mancherà di regalarci ancora attimi di piacere visivo come ha fatto in quest’occasione.