LA MAGIA DELLA POLAROID – IMMAGINI DI SICILIA

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Antonio Manta di Arezzo

Recensione di Paolo Pagni

Se l’utilizzo della foto polaroid associato alla manipolazione delle istantanee in corso di sviluppo (polapressure) o successivamente non è certamente una novità, indubbiamente nuova è la valutazione che ne viene fatta attualmente in termini apprezzativi.

Ma, dato l’evidente processo di spostamento della considerazione che in campo fotografico si va oggi realizzando dalla dimensione estetica dell’immagine e dalla sua accuratezza e fedeltà con il modello reale a quella del suo significato e dell’idea ispiratrice, allora è anche comprensibile e naturale che una tecnica che è fortemente caratterizzata dall’intervento diretto dell’autore sull’immagine, e perciò da un potente connotato soggettivo, venga ad essere considerata una metodica dotata di incontestabile dignità artistica.
La “capacità di ingannare”, quale elemento caratterizzante del valore artistico della fotografia (tralasciandone ovviamente l’uso sociale, che si prefigge altri scopi), è senza dubbio posseduta in grande misura da questo tipo di espressione fotografica, vista l’enorme potenzialità di intervento soggettivo che le è propria.
Un intervento, si badi bene, effettuato non a posteriori, ma caratteristicamente in corso d’opera e non di rado anche ex ante, che è già presente in nuce nella mente dell’autore prima dello scatto, per potersi poi realizzare contemporaneamente all’apparire dell’istantanea, fino a costituire con questa un unicum irripetibile.
Questo risultato unico consta pertanto di un dato oggettivo che è stato elaborato, interpretato, utilizzato dall’autore per fornire per suo tramite un messaggio personalmente, soggettivamente espressivo.
Il lavoro in polaroid di Antonio Manta è dunque non la rappresentazione, ma l’interpretazione della Sicilia secondo il sentire dell’autore, che a questa terra e ai suoi abitanti è da tempo e profondamente legato e dove sembra voler ritornare appena possibile e indipendentemente dalle (a volte in concomitanza delle) occasioni di lavoro, con lo scopo di ritrovare sulle colline delle Madonie, sulle pendici etnee, sulla costa dei ciclopi,  luoghi di pace e di serenità dove è possibile rifugiarsi, lontano dalle tensioni quotidiane e dai ritmi impietosi del lavoro, riuscendo in tal modo a ristabilire scale di valori dimenticate, che restituiscono la dovuta preminenza al sentimento dell’amicizia, al contatto con la natura, alla meditazione.
Il modo di fotografare ne è testimone, acquistando in questa dimensione di rilassamento e di serenità un passo lento e meditato, attento alla realizzazione di un risultato che esprime perfettamente questo stato di sintonia col mondo circostante. La tecnica, usata con grande padronanza espressiva, come uno strumento magico a disposizione di un mago sapiente, gli consente di “disporre del reale”, facendone il substrato sul quale sovrapporre, sotto forma di interventi grafici, pittorici, cromatici, ecc., le proprie sensazioni ed i propri sentimenti.
Le immagini del lavoro rappresentano soprattutto le campagne solitarie, il bosco, talora il mare, che sono gli ambienti ricercati e prediletti dall’autore, i suoi nidi di serenità,  che egli elabora con tratti dorati e spatolature morbide, quasi “affettuose”; e raffigurano poi oggetti sacri, decontestualizzati attraverso l’immersione negli sfondi aurei, che, nella loro emblematicità di icone solenni, sembrano voler conferire a tutta l’opera un’aura di sacralità.
E questo per affermare con forza il valore supremo, incommensurabile, di quei sentimenti e, di riflesso, la preziosità, la bellezza, la generosità della terra da cui traggono origine.