L’ATTESA

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Paola Garofalo, Grazia Musumeci e Serena Vasta

Recensione di Grazia Musumeci

Attese snervanti. Attese emozionanti. Interminabili attese. Attese rassegnate. Sono tante le versioni di questa parola… e tutte si possono trovare riunite insieme nella sala d’attesa di un Reparto Maternità.

Una cosa normale, direte voi, ma non troppo se vi trovate nel Reparto Maternità di un noto ospedale catanese. Le autrici di questa mostra, Paola Garofalo, Grazia Musumeci e Serena Vasta, lo hanno scoperto per puro caso. Infatti, durante un workshop condotto al Gruppo Fotografico Le Gru di Valverde da Giancarlo Torresani, lo scorso ottobre, a causa del maltempo che ha impedito un’uscita fotografica all’aperto, sono state “costrette” a cercare idee alternative in un luogo chiuso. E grazie ad una serie di fortunate coincidenze si sono ritrovate proprio dentro questo ospedale, proprio davanti alla porta di quel reparto.

Una visione davvero sconcertante, sia nel senso positivo che in quello negativo del termine! Quando l’attesa di una vita che nasce si fa intensa diventa azione, forse anche maleducazione se volete, ma comunque… inconsapevolmente… arte. Una scritta minuscola su un angolo di muro (“Ho fumato tre pacchi di sigarette aspettando te che nasci. Sbrigati!”), poi un’altra (“Ti chiamerò Denise o Desirée? Michele o Maikol?”), poi una più grande e un’altra più grande ancora… e sono dieci, cento, mille. Si affollano sul viso di un bambino paffuto che guarda, meravigliato, da un grande poster appeso alla parete e che -giura zia Roberta- “Sarà il bimbo più bello del mondo!”Ma l’intera sala parla, esprime attese lunghe come vite umane (“Finalmente dopo 15 anni sei arrivato!”), esprime gioie e dolori… dolori fisici (“La mamma urla da tre ore!”) e dolori dell’anima (“Sto per abortire e ho il cuore a pezzi!”).

Impossibile restare indifferenti a questa esplosione di emozioni umane. Impossibile non considerare la incivile abitudine di imbrattare i muri -in questo caso- come un vero manifesto dell’anima che da sempre, da che esiste l’essere umano, si traduce in arte.Questa mostra vuole fare da amplificatore a queste voci, a queste emozioni, a queste espressioni dell’anima che, fermate per sempre su un muro bianco, raccontano la più grande avventura dell’universo, quella che tutti noi stiamo affrontando: l’avventura della vita. I muri, prima o dopo, vengono ripuliti e anche il muro dell’ospedale in questione, poche settimane dopo, è stato reimbiancato e riportato a nuovo. Almeno per ora. Almeno finché la prossima mano tremante di nonna o di zio non segnerà, con un pennarello colorato, un nome e una scritta sotto: FINALMENTE E’ NATO!