QUADRI_CROMIE D’ARCHITETTURA

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Daniela Sidari di Reggio Calabria

Recensione di Pippo Pappalardo

Dimmi cosa devo guardare?

Segno d’identificazione di famiglie, di gruppi parentali, o di attività, oppure mero segnale visibile ai pescatori oltre la spessa nebbia lagunare, i colori di Burano fanno ormai parte del paesaggio della regione veneta e, insieme ai pregiati merletti, ne segnano la storia e le tradizioni. Trovarsi di fronte ad una così decisa connotazione dello spazio, realizzata attraverso un’ancor più decisa colorazione degli edifici, è di certo sorpresa architettonica e ambientale tutta da decifrare e da comprendere: la nostra Daniela, architetta e fotografa, dimostra, nel presente lavoro, di possedere gli strumenti idonei per penetrare questo caleidoscopico enigma di prospettive e di volumi e, tra essi, individuare un possibile percorso per i nostri occhi (e per i nostri sentimenti).
La sequenza visiva, apparentemente, è organizzata quasi fosse una serena passeggiata. L’ottima luce, la naturale saturazione cromatica, l’assenza esplicita di umane presenze spingono la fotografa e lo spettatore a confrontarsi con l’ob iectum dello strumento ed a compiacersi di ciò che ci sta davanti: ma non si è del mestiere per caso! Scatta, infatti, l’effetto Kandinsky grazie al quale le concretissime sembianze delle case, dei calli e dei canali divengono le “materie astratte” capaci di stimolare la nostra più intima percezione.
E, paradossalmente, proprio queste cromatiche presenze, capaci di astrattizzare il “cosa” si sta guardando, ci riconducono alla loro quotidiana materialità e finitezza. Il pittore russo lo aveva intuito bene quando, riflettendo sugli effetti, fisici e psichici insieme, del colore, esponeva il dinamismo dialettico che inevitabilmente s’instaurava in chi provava a capirne la funzione, la portata e la misura. In parole semplici l’interesse per lo spettro cromatico si tramuta in emozione dell’anima o, se lo preferite, della psiche. E vibra.
Ecco, quindi, intervenire l’indagine dell’architetta e della fotografa che, nella visione dell’ambiente, riesce a individuare e valorizzare il concetto di organizzazione dello spazio, la sua planarità (e quindi la sua vocazione umana), l’importanza di una linea d’orizzonte e, a mio avviso cosa più importante, la ricerca di un punto di fuga; quella ricerca che ha improntato la cultura della visione artistica italiana e che, da qualche anno, grazie all’opera di Giovanni Chiaramonte, riesce a emergere come indicativa proposta di studio.
C’è nel presente lavoro come una sorta di gioco a nascondersi dietro i colori e raggiungere questo mascheramento con la sovrapposizione della loro materialità; le cose povere stanno sotto i colori, emergono le cose umili, semplici; il colore appartiene alla struttura delle cose, il distacco dalla superficie colorata appartiene alla loro anima. Non possiamo, inoltre, tacere sulla riflessione che la nostra autrice accorda alla definizione prospettica dello spazio e all’uso della prospettiva, iconico e simbolico assieme, che da questa ne deriva: ad esempio, un cancello, dal quale la vernice ha quasi dissipato le tracce del tempo, attraversa la prospettiva della visione, mimetizzandosi nella medesima; un fontanile – e quindi acqua viva – raccoglie in prospettiva centrale il significato squisitamente italiano della piazza; un transetto risolve pittoricamente la sua profondità, i riflessi e le ombre sono il logico complemento del ritratto spaziale; che è ri-tratto, ovvero, recuperato dalla visione e rimontato nell’odeon dell’esistenza. Se mi è consentito: l’organizzazione prospettica, naturale in un fotografo, qui si fa cifra di una precisa volontà culturale che ha digerito la lezione di Panofsky e diviene proposta visiva e rappresentativa.
E, ancora, sarebbe interessante discutere sul modo di percepire e intendere i colori e così percorrere insieme il senso differente della volontà di colorare: per intenderci, ci sono colori che si spiegano con la storia, come la nostra pietra lavica, come il marmo pisano, come il travertino romano; e ci sono colori che sanno di “maquillage”, di connotazione, di personalizzazione. In questo senso, allora, la volontà di “truccare” non obbedisce forse a un nostro desiderio di confrontarci con il tempo? Non c’è, pertanto, la risoluta volontà di scoprirsi diversi? E, quindi, il trovarsi davanti ad un’esperienza di organizzazione ambientale dove non c’è richiamo alla presenza di risorse naturali, né il deciso progetto di modificare il paesaggio non rappresenta, forse, e maggiormente, l’oggetto connotativo dell’umana presenza? Anche qui sembrano evidenti i richiami allo storico del colore per eccellenza M. Brusatin.
Ma questa presenza, ormai “nascosta in prospettiva”, come nella poesia di J. Brodskj, (sepolto nell’isola di San Pietro presso Burano) già affida alle sensazioni ed ai familiari richiami la bella mostra della sua personalità, e della sua storia.
Non mancano, quindi, alla riflessione dell’architetto le annotazioni del fotografo attento alla figuratività del reale sempre capace di inventariare il bucato familiare, il davanzale della finestra, i vasi dei fiori, le tende da sole, le ombre, le antenne, gli utensili, i giocattoli, i grafiti capricciosi e quelli necessari; tutti dentro “la forma semantica della quadricromia” dove ambiguamente (e in senso positivo) la nostra amica cela un richiamo alla sintesi sottrattiva dei colori derivati da una sovrapposizione del nero e dei colori fondamentali, e un richiamo all’equilibrio compositivo ed all’occhio dello spectator per correlarsi infine allo sforzo compiuto da ogni cultura ovvero trovare nella rappresentazione dello spazio la visibile sua forma sintetica di espressione, appunto, culturale.
Un medesimo maestro di lettura dell’immagine fotografica, comune alla fotografa ed al sottoscritto, ci rammenta, intanto, che leggere l’immagine è un domandarsi perenne sul quid che dobbiamo guardare. Ed è un grato rammentare.

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Riferimenti:
Wassily Kandinsky, Punto, linea, superficie, Feltrinelli
Manlio Brusatin, Storia dei colori, Einaudi
Erwin Panofsky, La prospettiva come forma simbolica, Feltrinelli
Giovanni Chiaramonte, Opera omnia, ed. vv.
Josif Brodski, Poesia “italia”, Adelphi