E L’ACQUA SI FECE ANIMA

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Riccardo Cocchi di Montemurlo (PO)

Recensione di Paola Binante

“Il migliore dei beni è l’acqua” scriveva il poeta greco Pindaro e certamente il suo carattere sacro deriva dalla sua indispensabilità e dal suo carattere primordiale, origine e alveo di tutte le cose.
L’acqua è fonte di luce, una luce abbagliante che tende ad occultare il vero, più che a svelarlo.
I corpi si immergono o riemergono dall’acqua come dalla stessa vita e a volte vi sprofondano, come presi in un moto irreversibile. L’acqua rappresenta l’insondabile destino, elemento vitale di trasformazione e di continua ricerca di
sè e del senso della vita.
Le fotografie di Riccardo Cocchi ci parlano di misteriose ed immaginarie figure che nascono, vivono e svaniscono nell’acqua. E’ dalla natura che traggono le loro antropomorfiche forme, ed è alla natura viva che si riconducono.Come nella cultura orientale, così anche per Cocchi troviamo forte il desiderio di rintracciare forme figurative in una materia cangiante come l’acqua.
Ma all’immaginario orientale che permane per pochi istanti negli occhi di chi osserva, si contrappone in questo lavoro la valenza fotografica che congela la visione di una serie di ribaltamenti.
Ciò che è immaginario diviene immagine, forma e figura, che cambierà ogni volta nello sguardo
di chi osserva.
Quando la fotografia, come la pittura o la scultura, subisce le tentazioni della materia, del movimento, del puro gesto desunti dalla realtà ma che a questa non riconducono, ci avviciniamo ad un confine, un altro regno tra ciò che conosciamo e ciò che immaginiamo.
Rimane tuttavia una continuità elementare, fra reale e quello che crediamo di vedere: che essa
rappresenti una figura umana o che invece sia un frammento di  roccia appena indefinito,un riflesso
colorato o una massa fangosa che dall’acqua prende le irridescenti forme dell’occhio, l’equazione
formale non cambia:in tutto ciò scorgiamo realmente il  tangibile.
Riconosciamo in quelle figure antropomorfe occhi, volti esseri umani ed animali in un tormento
espressivo riconducibile alla pittura espressionistica tedesca.
Più che alla iconografia fotografica il lavoro di Riccardo Cocchi, riconduce all’immaginario delle
figure scheletriche di Egon Schiele, dove il corpo viene svuotato, scavato e dove solo l’anima, simbolicamente, vuole essere rappresentata, o alle maschere di James Ensor, dove l’alienazione della folla, la massa, trasforma i volti dal fondo del proprio io socialmente represso e lancia il  proprio messaggio di crisi della libertà.
Altresì, il colore irreale delle figure di Cocchi riconduce alla scelta simbolica del  Il cavaliere
azzurro di Vasilij Kandinsky, dove la potenza cromatica assume uno spefico significato tra forza e vigore, dove colori e luci sono considerati solo come segni e l’arte pittorica è concepita come una forma di comunicazione che non ha più necessariamente bisogno di rappresentare natura, oggetti o figure umane.
Questo è un lavoro di crisi che trova la sua catarsi, cioè la sua liberazione totale, nella forma.
Cocchi compie una serie di rinunce che gli permettono di perdere l’anima figurativa,
Nell’eccezione classica del termine, ricercando nell’antropomorfico un “nuovo reale”, quel reale dove le vecchie tradizioni contadine ritrovano nell’acqua quelle figure che simboleggiavano le loro
angosce e le loro paure. Immagini di figure sommerse nell’acqua, o che attraversano l’acqua,
rincorrono continuamente.
Questo elemento, combinato al contrasto ed al forte colore, diventa carico di profondi significati
che rimandano ad atti rituali in cui il corpo funge da mediatore tra il linguaggio del mito ed il
mondo ordinario.
Il mito ed il rituale trovano il fondamento nel corpo, pertanto le figure a cui ciò da luogo sono
complesse immagini che apparentemente si estraniano dal visibile per restituirne il fantasma
“l’ anima”: quello che di silenzioso, ma certamente vivo ci appare dall’esperienza quotidiana.
Nascono, queste figure, dall’osservazione, dalle piccole cose dell’universo quotidiano ed in particolare  dai segni della natura e dalla tracce della presenza umana nell’universo naturale e artificiale, da alberi e fili d’erba, da foglie e piccoli animali, nuvole e cieli, da cui isola i particolari che riaffiorano ingigantiti nella perdita di ogni riconoscibilità come veri e propri luoghi  mentali, un’opera fatta di opere.