THE SOUND OF SILENCE

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Alberto Castro di Catania

Recensione di Alberto Castro

“Se si pensa che il silenzio possa avere un suono, e sono convinto che lo abbia, di certo in quelle notti a Lucca sarebbe stato percepibile…”
“The sound of silence”, il titolo originale preso in prestito per questo lavoro dal brano di Paul Simon & Art Garfunkel, descrive una notte toscana, attraverso gli occhi di uno straniero che passeggia per le vie di Lucca, avvolto nella sua solitudine.
Riflessione, introspezione e tranquillità nella serena solitudine della routine di quelle strade avvolte da suoni morbidi, leggeri, lenti, smorzati, quasi immersi nel suono del silenzio, in un raccoglimento interiore dei protagonisti e della città tutta; così si scrive il diario di viaggio in cui il cronista, alla ricerca di se stesso, appunta le sue sensazioni, attento alle emozioni che la Città gli trasmette durante la notte musa.
Capita così, durante la realizzazione degli scatti, di passeggiare, dopo cena, per i vicoli, cogliendone bisbigli, odori, suggerimenti, idee e riflessioni, che si concretizzano quasi in una ulteriore città tra le “invisibili” di Calvino, seppur intrise di una qualche eco leopardiana o di una qualche rima montaliana.
Non so, in effetti, se anche Italo Calvino sia mai stato soggiogato da Lucca durante le sue splendide visioni, i suoi sogni ed i suoi meravigliosi racconti su Adelma, Ottavia, Despina e così via, ma se così non fosse, certamente le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue fantastiche città con i suoi abitanti, non potrebbero far altro che dimorare e riconoscersi tra le sue piazze, i suoi campanili, i vicoli ed i suoi segreti.
“Le Città Invisibili” hanno innegabilmente influenzato questo racconto, sia in fase di ricerca che in fase di realizzazione. La struttura stessa del racconto fotografico, ad esempio, così come la struttura dell’opera di Calvino, può essere stravolta, montata, rimontata e ricostruita, variando la sequenza degli incontri durante la passeggiata notturna. Il lettore ha quindi la possibilità di “interagire” con la struttura del racconto fotografico, scegliendo di seguire una sequenza od immaginando una qualsiasi altra possibile alternativa, saltando da una foto ad un’altra, da un incontro al successivo, senza stravolgere il senso e l’unicità temporale del racconto. E’, in effetti, un lavoro aperto, che si auto genera in ogni capitolo ed attraverso alcuni elementi ricorrenti si presta ad essere ulteriormente sviluppato, concatenando eventi su eventi, silenzi su silenzi, emozioni su emozioni, ed utilizzando un linguaggio fotografico duttile e strumentale alla restituzione di sensazioni. Come dice Marco Polo nell’opera di Calvino: “tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra”. Così come, vagando tra le diverse città, la realtà percepita attraverso i racconti di Marco Polo perde la sua concretezza e diventa fluida fino a materializzarsi nella fantasia, così le atmosfere ed i diversi suoni raccolti durante quelle notti a Lucca, si concretizzano in un unico suono percepibile e restituito sotto forma di Silenzio.
I temi affioranti, sintetizzati nel “Suono del Silenzio”, sono vari: dal tema del ricordo e della memoria a quello del tempo, da quello del desiderio a quello della morte, dalla solitudine e dalla malinconia alla necessità di ritrovarsi in un nido, insieme a qualcuno con cui affrontare il viaggio della vita.
Nelle immagini componenti la storia si ritrovano elementi ricorrenti, figure geometriche spesso presenti cariche del loro significato simbolico, luci e tematiche che consentono il gioco degli incastri e degli scambi, in una sorta di catena ad anelli intercambiabili.
Ultimo aspetto di cui mi preme parlare è l’aver avuto a fianco un interlocutore a cui l’intero lavoro è rivolto. Al di là dall’aspetto e del significato personale che ciò rappresenta, l’avere un ascoltatore privilegiato, nascosto o dichiarato che sia, permette sempre di rimanere coerenti nell’utilizzo di uno stesso linguaggio, oltre che di seguire costantemente un filo conduttore e di utilizzare terminologie e riferimenti chiari e riconoscibili.