UNIVERSO DONNA

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Santo Mongioì di Catania

Recensione di Claudio Pastrone

Tra forma ed emozione

Mentre, seduto vicino al”amico Santo Mongioì a Valverde, guardo scorrere sul monitor del computer le sue  immagini, non posso fare a meno di considerare che sono “belle”.
E mi ritorna alla mente un saggio di Robert Adams dedicato dal fotografo- professore americano ad una riflessione sul tema della bellezza in fotografia. Lì troviamo una frase che si adatta al vivere ed al fotografare di Santo come un vestito su misura: “Se la bellezza è il vero fine dell’arte, come oggi credo, la bellezza è quella della forma… Perché la forma è bella? Perché – penso – ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, il timore che la vita non sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia alcun senso”. (1)
Nel riguardare a distanza di settimane le stesse immagini, questa idea mi si rafforza ed altre considerazioni si adattano alla sua fotografia.  Dice infatti Bernard Noël che “La bellezza non è nelle cose, è nei nostri occhi. La fotografia avrebbe dovuto insegnarcelo da molto tempo…, ma noi continuiamo a confondere l’oggetto ed il soggetto per colpa di un illusione ben più antica. Il soggetto, oggi, è l’autore: lo sguardo dell’autore su un oggetto”. (2)
Nel caso della fotografia di Mongioì questa “confusione” di cui parla  Noël è suscitata in gran parte dal fatto che l’oggetto della sua fotografia è la donna ritratta in quella forma del nudo posato che intreccia ricerca estetica ed evocazione sessuale.
Le sue immagini, in cui il tempo appare sospeso, colto in un attimo immobile che si prolunga per l’eternità,   ci propongono corpi nudi di donna, a colori e in bianco e nero, ambientati nella penombra di una camera da letto o ripresi su sfondo scuri, unica eccezione un ritratto di profilo che si staglia sulla luce che filtra tra una tenda leggera di una finestra.
La luce, morbida anche quando è tagliente, avvolge le giovani donne e modella con sicuro effetto volti ammiccanti o pensierosi e corpi sinuosi senza vesti.
E  lo svestire un corpo non è sufficiente, perché sempre qualcosa lo veste, che è dovuto alla postura, all’ambiente, alla luce. La fotografia realizzata con scopi artistici è una specie di vestito ultimo, che sovrappone alla pelle reale una sua pelle mentale. Tuttavia qui la nudità fotografica tende ad annullare quella distanza in cui i corpi divengono pura figura o segno, perché ci trasmette quelle emozioni che il fotografo, soggetto appunto dell’immagine, prova ed esprime al momento dello scatto e nella successiva post produzione.
Come scrive Giorgio Rigon: “Il corpo svelato è una delle categorie più proficue e prestigiose dell’espressione artistica che ha sempre infiammato i dibattiti fra moralisti e cultori dell’arte, non tanto per semplice pruderie, quanto per la chiara consapevolezza dell’instabilità del nudo come categoria di produzione artistica, sovvertitrice dei tenui confini fra la legittimità dell’opera d’arte e la semplice raffigurazione erotica” (3).

E il concetto di corpo svelato, nella doppia accezione di corpo senza veli e di corpo rivelato allo spettatore, ben si addice alle fotografie di Mongioì, perché supera la distinzione, spesso capziosa, tra tutte le possibili categorie quali la “fotografia di nudo”, definita come uno stile della fotografia d’arte che raffigura il corpo umano nudo come studio, la “fotografia glamour”, che pone maggior enfasi sul modello/a e la sua sessualità e che la tratta come elemento significativo, la “fotografia erotica”, che ha una chiara componente di evocazione sessuale.

(1)   Robert Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995

(2) Bernard Noël, in  Nu, Centre National de la Photographie, Paris, 1986

(3)  Giorgio Rigon, Bel soggetto senza veli, http://www.giorgiorigon.it/magazin/saggi_file/senzaveli.htm, 2002