VALVERDE & LA MAGIA DELLA POLAROID

MOSTRA FOTOGRAFICA

a cura Autori Vari

Recensione di Paolo Pagni

Polaroid, ovvero la scuola dell’ immagine
Le pellicole polaroid realizzate dal genio di Edwin Land a partire dagli anni ’50 erano caratterizzate da semplicità di utilizzo e rapidità di risultato, la cui immediatezza ne decretò il successo nell’ uso popolare da parte di chi ne apprezzava la comodità e non richiedeva alla fotografia particolari requisiti di qualità. Esisteva a dire il vero anche un uso professionale della polaroid, con altre pellicole ed altri formati, caratterizzato dalla complementarietà di questa tecnica con la tecnica tradizionale, alla quale forniva la possibilità di previsualizzare l’immagine, in modo da avere elementi per apportare correzioni o modifiche all’esposizione. Oggi entrambi questi bisogni sono stati ampiamente soddisfatti dalla tecnica digitale, per cui la pellicola istantanea non avrebbe più motivo di sopravvivere (e infatti la produzione delle pellicole è effettivamente cessata da alcuni anni).
Un uso alternativo della pellicola istantanea più popolare, relegato un po’ nella nicchia di alcuni sperimentatori dell’immagine fotografica (Nino Migliori su tutti) e dei loro non  numerosi seguaci, si era sviluppato per la possibilità che la polaroid consente di manipolare l’immagine in via di formazione, fornendo all’autore la possibilità di imprimerle un carattere di soggettività’ che non e’ possibile con la fotografia tradizionale.
Proprio questa versione “artistica” della Polaroid, nell’epoca del tramonto della fotografia analogica (compresa, come abbiamo detto, quella istantanea) ha trovato ragioni non solo di sopravvivenza, ma addirittura di diffusione.
Il fatto è che essa rende possibile un intervento sull’immagine divenuto non solo ammissibile (e non più un’eresia), ma addirittura ricercato,  poiché il valore artistico di una fotografia è sempre meno basato sui suoi requisiti estetici e sempre di più sul suo contenuto. Ci si è spostati cioè dal campo della rappresentazione il più possibilmente fedele alla realtà  a quello della espressività dell’autore, che per mezzo di questo linguaggio assolutamente caratteristico ed unico, riesce ad esprimere il suo pensiero e a manifestare le proprie idee.
Ma a chi si accinge a dedicarsi alla fotografia o anche semplicemente a quanti, già esperti di essa, ne vogliano esplorare le potenzialità a tutto campo e interrogarsi sulla sua natura e funzione, la fotografia con polaroid manipolata fornisce una ulteriore risorsa. Quella di entrare nel campo della progettazione dell’ immagine e della sua costruzione mentale. In questa tecnica, più che nella foto tradizionale, è necessario avere le idee chiare su quello che vogliamo ottenere e sui modi di ottenerlo. La fase di progettazione può essere immediata o anche prolungata, ma quella della realizzazione lascia abitualmente, almeno nella tecnica forse più diffusa come la pola-pressure, solo pochi minuti per l’intervento dell’autore.
Bene dunque riproporre la foto istantanea in quest’ ultima versione “didattica”, come fa da qualche anno Antonio Manta nei suoi workshop. Da quelli effettuati con crescente successo (a riprova di un interesse che ne conferma il valore teorico) in Sicilia, con l’organizzazione  del Gruppo Fotografico Le Gru di Valverde di Catania, sono tratte le immagini esposte in questa mostra. Il lavoro è frutto dell’opera di diciannove autori che hanno preso parte ai workshop svoltisi nel febbraio e nel giugno 2011, fotografi forse di diverso livello tecnico, ma che sono riusciti a sviluppare un lavoro fondamentalmente omogeneo. Credo che il dato non debba troppo stupire, in quanto ripensare la fotografia in versione polaroid elaborata è un esercizio che consente di livellare almeno in parte le conoscenze tecniche: l’attenzione del fotografo, normalmente indirizzata su quello che si deve fare prima dello scatto, si estende in maniera peculiare anche e soprattutto a quello che egli dovrà fare subito dopo lo scatto, quando la sua pellicola che reca la traccia emergente di un brandello di realtà, dovrà essere plasmata dal suo modo non di vedere, ma di guardare, o meglio ancora di sentire quella realtà, in modo da fornirne la sua interpretazione soggettiva.
Il giudizio di omogeneità complessiva del lavoro non deve sembrare in contraddizione né con un certo grado di disomogeneità della manipolazione, che deriva sia dalla differente esperienza nelle tecniche di intervento, sia, forse più spesso, da scelte progettuali e caratteristiche personali dell’autore, né con il carattere composito che necessariamente proviene dalla mancanza di un tema specifico assegnato.
Tali elementi tuttavia non compromettono affatto il risultato complessivo di un affresco di una parte di Sicilia a carattere corale, dove tante voci, ognuna col proprio timbro e la propria tonalità, descrivono ambienti, persone, oggetti, animali, scorci della quotidianità, non limitandosi a fotografarli, ma valorizzandoli a proprio modo e a proprio gusto, con il sentire di chi queste cose conosce per averle vissute ed amate nella vita quotidiana. Se, come a me sembra, nelle immagini è compreso ed è apprezzabile il sentire dell’autore, il risultato può dirsi efficace e l’obiettivo della fotografia pertanto raggiunto.

Dobbiamo ringraziare per questo a Sebastiano Cosimo Auteri, Gaetano Bonanno, Salvatore Cafarelli, Nuccia Cammara,  Mirko Chiaramonte, Gianfranco Consiglio, Alessio Drago, Giuseppe Fichera, Anna Fici, Claudia Garofalo, Enzo Gabriele Leanza, Giancarlo Marcocchi, Maurizio Martena, Giuseppe Privitera, Domenico Santonocito,
Tiziana Scelta, Serena Vasta, Pietro Vilasi.