STILL – LIFE

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Santo Mongioì di Catania

Recensione di Giorgio Rigon

L’ordine come categoria estetica
Gli oggetti concilianti di Santo Mongioì
1)L’intonazione lirica delle cose.
Se sul piano ordinativo e critico è consentito all’arte figurativa appropriarsi con disinvoltura di alcuni termini tecnici propri del patrimonio linguistico musicale quali: timbro, tono,armonia,vibrazione ecc., approfitto anch’io di qualche prestito dallo stesso patrimonio, per definire il momento ispirativo e progettuale della fotografia di Santo Mongioì come una sorta di “orchestrazione” di tipo musicale.
L’orchestrazione è un’attività complessa che precede l’esecuzione, è un momento preparatorio in cui la volontà creativa del maestro si deve accordare con le leggi fisiche che regolano l’emissione dei suoni e con le caratteristiche tecniche di ogni strumento; in un tempo successivo, subentra un momento magico dell’intonazione al quale è legata la sorte dell’intera esecuzione, il rendimento lirico del pezzo.
Mongioi’, per ogni immagine, conduce un lavoro analogo, certamente atipico, anzi singolare, nella disciplina della fotografia. Egli possiede degli oggetti, li possiede nel senso dell’intima conoscenza delle forme e della sicurezza nel gestirne l’effetto psico-simbolico, indipendente dal contesto organico in cui la forma si trova e dal suo significato funzionale. Così una bottiglia fa dimenticare la propria funzione di contenitore di liquidi per assolvere al ruolo emblematico di maestosa presenza verticale in mezzo ad altre presenze oggettuali, ugualmente simboliche, ordinate secondo una gerarchia di valori formali
Frammenti di carta, sezionati in rigorosi tagli geometrici ed assiemati, sviluppano disinvolte forme sinuose, per creare tracciati armonici secondo un oggetto di ascendenza classico-rinascimentale.
Alcuni frutti o ortaggi, scelti tra un limitatissimo repertorio(uva,pomodori,fragole), sono sempre presenti nelle composizioni e vengono sapientemente inseriti laddove convergono le linee di forza degli oggetti di maggiore valenza compositiva che fanno loro da castone.
Non vi è alcuna relazione organica tra gli oggetti e, tanto meno, alcun nesso logico negli accostamenti, i piccoli frutti brillano, con i loro colori squillanti, come i trilli di un soprano o il suono argentino del triangolo in una grande orchestra; tanto per rimanere nella metafora musicale.
Ma qual è il segreto di tanta armonia?
Chiamerei “intonazione” il principale artificio della regia di Mongioì, intonazione come precisa attribuzione di colore ad ogni oggetto: dal bianco latteo dei vetri, al grigio-viola-marrone delle strutture armoniche, in un calibrato insieme ove rifuggono, incastonati,i piccoli doni della natura.
Grande abilità di orchestrazione e di intonazione quindi, che viene esercitata anche nelle immagini monocromatiche, a comprova che Mongioì, esperto nell’arte pittorica è capace di suscitare le stesse emozioni anche nella rigorosa astrazione del bianco e nero.
2) Un problema di “genere”
Ho accennato alla maturazione di matrice pittorica del fotografo Mongioì.
Nel tracciare il profilo critico di questo autore è necessario perciò individuare le ascendenze che ne hanno fatto un raffinato e sensibile poeta dello “still-life”.
Un paio di secoli fa, la classe della borghesia, emergente nella vecchia Europa, privilegiò un genere di pittura che, a posteriori,critici e storiografi chiamarono appunto” di genere”, si trattava di una pittura finalizzata al decoro delle magioni borghesi che assoggettava molti artisti ad una committenza particolare, raramente colta, più sensibile all’aspetto edonistico delle cose che non a quello espressionistico. Nacquero così le composizioni pittoriche di fiori e frutta dai colori caldi, tralci dalla volute sinuose, il tutto composto, con ridondante gusto tardo-barocco, su tavoli o entro pregiato vasellame.
Il fenomeno, apparentemente riduttivo per l’ispirazione poetica, ebbe effetti positivi in seguito, quando si parlò di studio delle forme e di “teorie gestaltiche”.
La tematica fu ripresa dai cubisti che amarono scomporre e ricomporre, secondo i loro analitici, freddi principi, frutta, fiori, chitarre, pipe, bottiglie, compostiere ecc., riportando i quadri “di genere” alla dignità pura dell’arte e dando vita, assieme ai fotografi, a quella particolare forma compositiva che oggi chiamiamo “still-life”una sorta di arte applicata, asservita ormai alle sole esigenze del mondo dei consumi.
Mongioì ha assimilato culturalmente la pittura “di genere”, e consapevole del suo percorso evolutivo e ci impartisce oggi una lezione di stile, riportando il linguaggio della forma alla sostanza poetica, non finalizzata ad altri scopi; ci offre, in definitiva, alcune soluzioni iconografiche quali veri e propri “emblemi d’autore”.
La produzione fotografica di Mongioì assurge a dignità ed eleganza.
3) La tentazione metafisica.
Il percorso che Mongioì ha intrapreso è fatto anche di assimilazione ed approfondimento delle avanguardie storiche come la pittura metafisica e quella surreale. Il “ritorno all’ordine”, che si contrappone all’avventura dell’informale, porta l’autore, inevitabilmente, a considerare con attenzione i valori plastici di De Chirico e di Carrà ed a subirne il fascino. Così non resiste all’allettamento di rafforzare la propria convinzione metafisica inserendo, ogni tanto, nelle proprie immagini fotografiche, forme e stilemi ispirati alle opere dei due grandi artisti.
Il processo è condotto con raffinatezza e gusto; vuole rappresentare un omaggio più che una rilettura (che oggi va tanto di moda), non è una provocazione, come i baffi sulla Gioconda di Duchamp,ma, a mio parere, si tratta di accostamenti fatti per gioco, che non incrementano la carica metafisica, già inequivocabilmente presente nella sostanza poetica di Mongioì.