SOLITUDINI

MOSTRA FOTOGRAFICA DI

Rosaria Pantò

Ma solitude, My loneliness
Non so quale sia l’ordine giusto ma c’è una donna, Sara Pantò, che viene, appena prima o appena dopo, la Sara fotografa.
Questa premessa mi è necessaria poiché, allor quando, sub specie portfolio, ho letto queste immagini all’ultimo Meeting Etneo, in quel di Viagrande, tale circostanza si è rivelata, almeno per il sottoscrito, un’esperienza assai diversa dalle solite.
Laddove, infatti, gli incontri di lettura si risolvevano nella verifica della corretta esposizione della sequenza fotografica e nella conseguente opportunità di scelta della forma più idonea a comprenderne la linea narrativa e la ragione della sua formulazione, la nostra amica “impattava” con il sottoscritto sul titolo dato al suo lavoro ovvero “solitudine”: scompariva, allora, la fotografa che si intratteneva col suo discreto e composto punto di ripresa, scompariva l’accorta selezionatrice di soggetti funzionali al suo appunto, scompariva l’abile accostatrice di linee e di colori e si rivelava, con sorprendente forza dialettica, la donna disposta a non transigere e a non cedere, nemmeno di una virgola, sul modo di definire la sua idea: che era un documento, era una narrazione tematica, era una narrazione artistica, era un’idea concettuale, era in ogni caso una sua, assolutamente sua, intimamente sua, riflessione sulla natura e sui dignitosissimi motivi della solitudine.
E tutto ciò era, a suo dire, evidente negli elementi espressivi e rappresentativi selezionati per la sua composizione e, privilegiati per il suo racconto.
In altre parole: laddove io rintracciavo solo ricordi e atmosfere di viaggio, la mia amica, con forza e determinazione, tenacemente, mi riportava ad una riflessione fotografica sul concetto della solitudine e sull’esperienza della medesima.
Potevamo scambiare mille parole sulla profondità di campo calcolata e sulla previsione della distribuzione dei pesi visivi di ogni composizione (peraltro assai accurati nella sua proposta), il baricentro dialettico del nostro incontro rimaneva il valore da attribuire al concetto di “solitudine” che rimaneva vagamente negativo per me e abbastanza positivo per la nostra Sara.
Entrambi eravamo consapevoli che le idee si discutono e non si giudicano ed entrambi eravamo desiderosi d’incontarci su un terreno comune, condiviso, coniugato.
“Non c’è necessariamente tristezza nella solitudine” diceva lei.
“Ma un isolamento volontario, la scelta di distaccarsi volontariamente, non è forse un triste privarsi? aggiungevo io.
E lei: “Non c’è forse una maggiore libertà nella solitudine?”
Ed io: “Ma cosa te ne fai della libertà se sei sola?”
E così siamo andati avanti per un bel po’, piacevolmente misurandoci. E scontro dopo scontro siam giunti ad un incontro. Il “Lei” era divenuto tu e la folla si stringeva attorno al “”noi”
“I tuoi personaggi, cara Sara, godono della solitudine poiché hanno saputo ascoltarla pur sapendo di non poterla raccontare”; hanno “conquistato” la solitudine; ne hanno avuto “cura” come dice Franco Battiato, se ne sono innamorati come cantava George Moustakj.
Ricordi: “or che ho dormito in compagnia / della mia solitudine / è diventata amica mia / una dolce abitudine / non faccio un passo senza lei / fedele come un cane / che m’accompagna e sta con me / in ogni angolo del mondo / No, solo non sarò mai / se con me sarà la mia solitudine”
Questo io dicevo, e non tanto tra me e me, davanti alle semplicissime fotografie di Sara Pantò.
“Ma bravo, ci sei arrivato da solo a quello cui pensavo” dicevano intanto i suoi occhi.
Sara Pantò, fotografa era davanti a me soddisfatta e per niente meravigliata. Sara, donna e fotografa, mi soppesava con occhi trionfanti.
“Sic rebus stantibus”.
Pippo Pappalardo

Mi sono resa conto solo dopo della enormità  del mio tentativo di rendere la solitudine in immagini. La solitudine è spesso uno stato interiore, non dipende  se siamo tra la folla o in un deserto. A volte si può cogliere nell’espressione di un viso,  più che nella situazione in se stessa. In genere si associa l’idea di solitudine alla vecchiaia ma la solitudine è vissuta da tutti noi, in varie forme, durante tutto il percorso della nostra vita . Chi da bambino non vissuto con terrore la solitudine di aver smarrito la mano della mamma tra la folla o chi non si è ritrovato  talvolta a giocare da solo sentendosi escluso? Chi nell’adolescenza non ha provato l’estraniamento, il rifiuto del gruppo o la solitudine di un amore finito? Chi da adulto non si è accorto a un certo punto di una serata tra amici o colleghi che non era visto da nessuno o che egli stesso non era in sintonia con alcuno? Chi non si è accorto che spesso per essere accettato e non essere solo doveva accettare compromessi o snaturarsi e recitare una parte per apparire senza riuscire ad essere se stesso? Chi pian piano non ha maturato , lungo la scalata solitaria che è la vita, l’idea che non bisogna aspettare che qualcuno ci porti dei fiori ma che bisogna coltivare il nostro giardino e cercare dentro noi stessi quella luce che non ci fa soli? E allora c’è la solitudine come scelta , la solitudine di chi cerca se stesso dentro e sceglie di percorrere sentieri solitari, sceglie di incontrarsi con la natura più che con le persone, sceglie gli spazi aperti che non costringono ad uniformarsi, che non impongono – per sciogliere i nodi della solitudine – a snaturare il proprio sentire e la propria integrità.
Rosaria Pantò