Nuova Genesi Sierra Leone di Sebastiano Cosimo Auteri
Testo critico di Giacomo Fanale
Un impegno agevole l’introduzione critica alla mostra fotografica “Nuova Genesi Sierra Leone” di Sebastiano Cosimo Auteri, per ciò che rappresenta, per il susseguirsi di immagini che coinvolgono, affascinano, in un incedere a sentimenti, e ad emozioni già al primo sguardo. Compito stimolante, per chi si appresta a scrivere e prova a trovare le espressioni più adatte a manifestare le emozioni forti e ammalianti, di chi si trova davanti immagini così stupefacenti che penetrano direttamente nell’anima.
Poesia, quella che si percepisce da questi scatti, forse non sempre il termine risulta così appropriato come in questa occasione. Poetare non è solo il giusto connubio di parole che si rincorrono per suggellare emozioni del pensiero e dell’anima, ma anche d’immagini così impregnate di commozione, che il più delle volte le stesse parole non sono in grado di rappresentare.
Sebastiano Cosimo Auteri, Nuccio per gli amici, da prova di una formidabile tecnica di ripresa e di post produzione fotografica, ed aggiunge a ciò, una grande sensibilità nel rappresentare una realtà che lo ha colpito profondamente. Una realtà lontana, nel suo immaginario, come nel nostro, che consideriamo un continente, quello africano tanto vasto, di territori come di problematiche immense, e non avremmo mai pensato ancora così fertile di stimoli, ma anche di emozioni, come quelle che sono emerse in modo sorprendente, dagli scatti fotografici di Auteri.
I suoi fotogrammi, sono così affini al senso che abbiamo della pittura, da sembrare essi stessi tele impresse con sapiente tecnica pittorica, perché trasferiscono emozioni con tencnicismi rappresentativi in cui non è immediato distinguerne il sottile confine tra fotografia e pittura.
Un mondo incredibilmente affascinante, un Africa dei grandi reportage di un tempo, quella in mostra, di cui non eravamo più avvezzi. Immagini cosi dissimili dai più frequenti reportage di denunce, che ritraggono una realtà per nulla esaltante. Di un terzo mondo emarginato, risultato di uno sviluppo mai del tutto avviato e già degenerato, e di secoli di colonialismo e
sfruttamento e di degrado ambientale, di imbarazzanti immagini di atrocità perpetuate di ogni tipo, di guerre civili, di lotte tribali, di epidemie, di povertà, di migrazioni, ma anche di safari, e di caccia indiscriminata.
Immagini ricorrenti di un intero continente, che preme ai confini della nostra “civiltà opulenta” e che fa paura.
Gli scatti di Auteri invece, ripropongono quell’autenticità di un Africa dell’immaginario di tutti, della speranza ritrovata, di una potenziale risorsa per l’intera umanità .
La Sierra Leone, così vissuta da Auteri, è una nuova realtà africana, un paese tra i più poveri del mondo, appena uscito dalla guerra civile, e da una popolazione decimata dell’epidemia di Ebola, dove sono incancellabili i ricordi di atrocità inenarrabili, e che dagli scatti di Auteri, sembrano fatti così remoti da apparire incredibilmente lontani.
Immagini di speranza, volti di bimbi sorridenti, in un paese la cui popolazione si compone per il 60% di bambini, di giovani uomini e donne a rappresentare un futuro, ripresi da Auteri, in un gioco dinamico di atmosfere rarefatte, di primi piani sfuggenti ed animati. Un desiderio di rappresentarne i primi risultati che hanno qualificato la rinascita, e il rigenerarsi del paese, la Sierra Leone, di cui il primo a compiacersi è proprio l’autore degli scatti, un fotografo pienamente coinvolto.
Capitato per caso Auteri in Sierra Leone, per un incarico di lavoro, si è trovato a contribuire a formare competenze per un progetto umanitario arduo, ma di grande valore per la rinascita di un paese ridotto allo stremo. Coinvolto emotivamente, ha compreso come il progetto di cui in modo marginale è stato partecipe, in Sierra Leone, vuole dare al paese martoriato, uno sviluppo possibile e concreto per la realizzazione di nuove prospettive. Impressioni che lui stesso ha colto, sentendosi nel suo piccolo interprete di una dimensione nuova, tanto da voler partecipare con un suo contributo, attraverso scatti fotografici, a documentarne tutto ciò che ha vissuto con stupore.
Le foto di Auteri sono testimonianza viva di una realtà possibile, quella che adesso si prospetta in Sierra Leone, e grazie al sostegno di organizzazioni non governative come la Onlus italiana, la Saint Lawrence Foundation, che il paese vive una vera e propria rinascita, un futuro fatto di speranze, straordinariamente riconoscibile negli sguardi di bimbi sorridenti, di donne dai bei volti espressivi, che ricordano i ritratti fiamminghi di Vermer, di uomini che si muovono in strade ormai sicure, di studenti impegnati alla costruzione del loro futuro in un paese che vuole essere diverso, e protagonista del proprio destino.
Scatti fotografici che esprimono gaiezza, vitalità, energia che si sprigiona anche dalla scelta di costruire scene dinamiche, un volere rappresentare la voglia di “accelerare il progresso” di un intero popolo, per recuperare il tempo perduto. Le occasioni sciupate dalla volontà perversa di governanti stolti, guidati solo dal desiderio di potere, limiti che hanno contraddistinto i processi di indipendenza dei vari stati africani. Così come accaduto anche per la Sierra Leone.
Un dinamismo quasi all’impronta di un “futurismo pittorico” i fotogrammi di Auteri messi in mostra, istintivamente inneggianti alla velocità ed al progresso, così come lo furono nel primo novecento, le opere del movimento “Futurista” dell’avanguardia storica nel vecchio continente.
Auteri sembra voler attingere, anche se in modo inconscio, alle valenze di un nuovo “futurismo” questa volta ”africano” espresso attraverso tecniche fotografiche che valorizzano il senso del vigore umano, la corsa continua della sua gente, dove protagonista non è lo strumento meccanico, la macchina, segno convenzionale di progresso, ma l’ accorrere di un popolo verso prospettive nuove.
Un “secondo futurismo” in cui il concetto di fiducia al futuro e al progresso, bene si sposa con la voglia di un popolo che vuole velocemente credere e sperare, alla voglia di recupero per sopravvivere e superare fame e povertà, alla creazione di una storia che ricomincia a raccontarsi di un paese nuovo.
Cosi appaiono a prima vista i fotogrammi di Auteri, immagini surreali, quasi fossero dipinti realizzati con pennellate svelte e materiche, un deciso immergersi nel vortice cromatico di fotogrammi che non sanno di reale, di una natura sfocata quasi sfuggente, di tonalità vivaci, di colori intensi, di atmosfere assolate, che contornano i sorprendenti primi piani ben focalizzati dei bei volti di bimbi gioiosi, di studenti immersi nei loro apprendimenti, di operatori culturali e di fanciulli nelle loro divise sgargianti che stonano con la povertà del loro contesto. Immagini di uomini e donne, con le loro aspettative, in movimento lungo strade ancora polverose ma libere, con un passato da superare per cresce e poter credere e sperare.
La testimonianza di Auteri, così ben rappresentata negli scatti fotografici proposti in mostra, è rincuorante perché vera, di un realistico sviluppo, ed è commovente perché è autentica in tutto ciò che rappresenta.
Sono queste le considerazione che alfine emergono di un paese e del suo rigenerarsi, e che Auteri ha egregiamente con amore e sentimento voluto rappresentarci, e che lasciano una traccia nel profondo dell’anima, un insieme di scatti fotografici che difficilmente lasceranno i visitatori indifferenti.
Testo critico di Daniela Sidari (Docente FIAF)
“Quando un uomo si trova in movimento, si inventa sempre uno scopo per quel movimento. Per percorrere mille verste, un uomo ha bisogno di pensare che al di là di quelle mille verste ci sia qualcosa di buono. Ha bisogno di credere in una terra promessa per avere la forza di muoversi.”
(Lev Tolstoj)
Siamo in Sierra Leone, uno dei paesi del Quarto mondo, un paese per anni martoriato dalla guerra civile e poi decimato dall’Ebola. A Makeni (quello che è stato uno dei campi principali di guerra e dove attualmente il 60% della popolazione sono bambini) “Ho vissuto un’esperienza dura, ma molto dura, ma alla fine dirti eccezionale è poco”, è così che inizia il racconto verbale del nostro autore, recatosi in questi luoghi per lavoro. La mostra, a colori, racconta una Sierra Leone vitale ed emozionante, “Vedo … queste anime come se stanno vivendo una nuova genesi … un’altra possibilità.”
Non è facile arrivare in un luogo così provato e trovare una realtà positiva eppure questa storia narra di un paese attivo e vivace. Auteri è riuscito a trovare la giusta chiave di lettura nell’uso combinato di colore e movimento; scatta le immagini volutamente mosse con tecnica realizzata sia in presa diretta che in post produzione. Un movimento continuo e vario che come un linguaggio fluido, aperto e coerente gli permette di catturare personali sensazioni ed emozioni.
L’uso del mosso aiuta l’osservatore a comprendere questa popolazione secondo una nuova prospettiva: il movimento rappresenta l’incessante brulicare di una comunità, il pieno fervore delle varie attività; in quel movimento c’è qualcosa di buono, in quel movimento c’è nuova vita.
L’obiettivo ha ritratto persone per strada al lavoro, mentre giocano e a scuola. Le velocità di mezzi occidentali come camion e moto si confrontano continuamente con la diversa velocità del camminare umano. Donne e uomini portano in testa in perfetto equilibrio grandi ceste ricolme di mercanzie, legna o altro; speditamente si muovono per chilometri fra brulle distese di terra e l’agile passo evidenzia i colori dei tradizionali vestiti mettendo in luce bellezza ed orgoglio. Ogni movimento si realizza nel tempo; i corpi si muovono relazionando se stessi con lo spazio e se stessi con le altre persone. Tutte le immagini mostrano colori vivaci tranne una, posizionata a metà della sequenza scelta dall’autore, questa immagine ha un tono dismesso ed uniforme, quasi un bianco e nero: è un uomo seduto che nasconde il volto fra le mani; è una ferita ancora aperta nonostante tutto, un monito a non dimenticare ciò che è stato.
Alcuni ritratti ravvicinati permettono poi di introdurre un nuovo capitolo, quello legato a ciò che sta diventando la nuova realtà di questa comunità. Grazie all’aiuto e supporto di numerose ONG si stanno realizzando progetti volti a dare nuove opportunità di crescita, di lavoro, di acculturazione; progetti portatori anche di una ricostruzione sociale e morale. Ecco quindi irrompono allegramente giovani e bambini in divise scolastiche, volenterosi di imparare, gioiosi ad elargire sorrisi. Chiude la mostra un bimbo dallo sguardo felice e nel compiere un semplice gesto di saluto sembra voler augurarci un arrivederci a presto. A Makeni ci sono uomini, donne e bambini che sempre in movimento sono pronti a ricominciare a vivere e ad accettare i cambiamenti che la vita necessariamente porterà.
Allora, muoversi per “… credere in una terra promessa per avere la forza di muoversi” ancora.